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UNIUMA – S.S.M.L. ad ordinamento universitario “P.M. Loria”

TERZA PARTE

Stare nel mezzo: il ponte sacro della mediazione interculturale

Ciò ci consente di attivare il saper negoziare i significati, modalità che esalta la nostra relazione dinamica di vivere nel mondo, cercando una co- costruzione di un discorso comune. Lo stimolo a questo approfondimento prevede anche la possibilità di individuare inedite prospettive che possano illuminare sguardi, divaricare interpretazioni, aprire nuove strade.
Ne propongo una, a conclusione di questa
riflessione, mutuata dal pensiero filosofico del celebre pensatore francese Paul Ricoeur (1913-2005) che costituisce una visione sapiente dell’approccio alla mediazione che trova la sua origine nell’atto e nello spazio traduttivo, esempio di soglia: essa incarna la prima sfida etica nella quale possiamo incontrare soddisfazione e felicità, a condizione che si accetti l’esperienza della perdita, fino ad accettare in modo assoluto la differenza insuperabile del “proprio” e dello “straniero”. Dobbiamo cambiare modo di pensare, valorizzare la nostra umanità nella consapevolezza dei nostri limiti, tra i quali saper rinunciare al concetto di traduzione assoluta ed elaborarne il lutto, perché è proprio questa perdita a rendere possibile la citata felicità del tradurre, nel riconoscimento di quello spazio dell’incontro che Ricoeur definisce l’hospitalité languagière (ospitalità linguistica), spazio in cui si incontra l’Alterità, dove si abita la propria lingua ma si vive il piacere di accogliere nel proprio spazio, nella propria accogliente dimora la parola dello straniero. Si tratta di due estraneità che diventano reciproca accoglienza. L’atto traduttivo riduce lo scarto regalando alle parti possibili alternative, opzioni di essere altrimenti con nuove modalità di interrelazione. Il percorso etico della traduzione quale esercizio dell’alterità annulla così la retorica della differenza, rimuovendone l’intrinseca irriducibilità. Condizione reale e metaforica irrinunciabile per avviare e completare una delle decisive piattaforme difensive contro la composizione di conflitti sociali interculturali dove si misurano e si affrontano le caratteristiche peculiari delle singole genie. La più efficace di queste piattaforme risulta essere la dinamica garantita dalla strategia e dai protocolli contenutistici della mediazione linguistico-culturale che persegue gli obiettivi della distensione, dell’inclusione e dell’interazione. Con essa si neutralizzano le conseguenze della teoria “dell’uomo marginale” di Robert Park formulata a Chicago negli anni Venti del secolo scorso, in cui si studiavano in particolare i disagi dei migranti polacchi consapevoli di non appartenere più alla propria cultura e di non appartenere ancora a quella della società ospitante.
La mediazione interculturale è proposta a livello accademico all’interno di una facoltà che, oltre a garantire le necessarie competenze linguistiche, offre al corpo discente articolate e approfondite competenze idonee a “fare da ponte” tra le differenti culture, contribuendo così alla rimozione dei conflitti e favorendo l’armonia sociale.

Daniele Gallo
Direttore Didattico UniUma

Articolo pubblicato su ” Il Foglio dell’Umanitaria” numero 1 del 2024 – Conflitti. La complessità del reale