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UNIUMA – S.S.M.L. ad ordinamento universitario “P.M. Loria”

SECONDA PARTE

Stare nel mezzo: il ponte sacro della mediazione interculturale

Ma come può la mediazione interculturale lenire i contrasti e come possono mediatrici e mediatori trasformare una dimensione conflittuale in una dialettica pacifica, costruttiva e solidale? Proviamo a proporre soluzioni per ridurre il più possibile il disagio e l’aggressività generati dai vulnus descritti. Anzitutto un’equilibrata comunicazione interculturale non può essere limitata alla conoscenza della cultura “altra”, ma deve essere anche estesa alla sospensione nel “territorio di mezzo” avviando un ascolto attivo di attenzione e di avvicinamento, prodromico della mediazione. Il territorio di mezzo è spiegato sociologicamente dal concetto di soglia, quel luogo-non luogo in cui avviene il primo incontro con l’Altro e si evidenzia la necessità di rimuovere i confini, di sconfinare, di andare oltre: del resto i confini sono un’invenzione del genere umano, sono demarcazioni costruite e inesistenti in natura e si sono rese necessarie per stabilire chi è di qua e chi è di là, che questo è mio e questo è tuo, chi è straniero e chi no. Ecco farsi strada il concetto di soglia, per eliminare i confini: passaggio di confine, terra di nessuno, aria di sospensione delle differenze. Il concetto è stato mirabilmente espresso, sul piano artistico, da un interessante film dell’insigne regista greco Theo Angelopoulos, Le pas suspendu de la cigogne (Il passo sospeso della cicogna, del 1991) che prende spunto proprio dall’incedere dell’uccello, che simbolizza l’annullamento della scelta di stare di qua o di là. La soglia è il luogo in cui il passo sospeso acquista un significato. Le soglie sono spazi dove sono facilitati l’incontro, il contatto, la contaminazione, costituendo il primo presagio dell’annullamento dei confini.

Un altro antidoto del conflitto e strumento di mediazione è l’Ascolto attivo: il saper ascoltare è una condizione essenziale per lo sviluppo di una buona comunicazione relazionale. Gli attuali ritmi di vita stanno rendendo difficile sia ascoltarsi che ascoltare, con il rischio di sentire estranei gli altri e noi stessi. Il buon ascolto renderebbe invece più facile la comunicazione, l’incontro, il dialogo e la comprensione interpersonale e sociale e la capacità di mediare. Oggi viviamo in una società definibile “di monologhi”, in cui molti parlano e pochi ascoltano, in cui le persone non dialogano ma sovrappongono monologhi paralleli che non s’incontrano mai: l’arte dell’ascolto è diventata sempre meno praticata. Il buon ascolto è per sua natura circolare: chi ascolta è ascoltato e chi è ascoltato ascolta. Esiste la parola perché esiste qualcuno che la ascolta: non c’è nessun io parlo se non è preceduto da un io ascolto. L’ascolto nella comunicazione è un’esperienza che ci aiuta a strutturare il nostro Sé ed è una condizione essenziale per l’armonico sviluppo di una buona relazionalità interpersonale e sociale. Nelle sue tre dimensioni – ascoltarsi, ascoltare ed essere ascoltati – prendiamo coscienza della nostra e altrui esistenza, modulando così la nostra vita e quella degli altri. Se viene meno una di queste esperienze corriamo il rischio di alzare il livello di estraneità verso noi stessi e verso gli altri, pregiudicando la nostra comunicazione. Paolo Balboni e Fabio Caon, docenti di Cà Foscari ed esperti dell’argomento, hanno individuato particolari abilità che, neutralizzando l’invasività psicologica dei descritti vulnus, favoriscono il processo di interazione fra le culture e propongono un corretto schema di mediazione interculturale.

Le abilità relazionali proposte (non escludendo altre) sono:

  1. Saper osservare. L’incontro con esponenti di altre culture può risultare appesantito da pregiudizi che possono condizionare anche l’effetto primacy, per cui la prima impressione è fondamentale e segna l’evoluzione del Risulta quindi fondamentale sviluppare una capacità di osservazione che riduca il rischio di compromettere la comunicazione. Questa attenzione prevede lo sviluppo di due risorse: la capacità di decentramento e la capacità di straniamento. La prima suggerisce di smarcarci dai nostri ruoli, evidenziando quel distacco che ci aiuta a interpretare l’evento da una posizione terza, diversa dalla nostra e da quella dei nostri interlocutori. La seconda prevede un chiaro distacco emotivo dal contesto. Siamo invitati a non lasciarci condizionare dalle emozioni per non rischiare di commettere errori “culturali” che rischiano di compromettere la comunicazione.
  2. Saper relativizzare. Risulta importante, nel riconoscere l’altro, accettare di rendere relativo il proprio quadro valoriale per evitare il rischio di interpretare i pensieri e i comportamenti degli Per questo è fondamentale che noi consideriamo la parzialità della nostra chiave di lettura del mondo in un processo dinamico nel rispetto dell’altro, senza immobilismo cognitivo ed emotivo. Naturalmente ci sono valori che più si è disposti a negoziare (way of life) come le “risposte di cultura ai bisogni di natura”, tra cui il vestire, l’alimentazione, e altri meno (way of thinking) tra cui la pena di morte, le mutilazioni genitali femminili, il lavoro minorile.
  3. Saper sospendere il giudizio. Abbiamo sottolineato come le categorie rappresentate dal pregiudizio e dallo stereotipo consentano comode scorciatoie per la nostra mente che, affidandosi a standard precostituiti, non debba “affaticarsi” nella costruzione di Abbiamo bisogno di rapidità per categorizzare il nostro interlocutore di turno ossessionati da un’urgenza di classificazione. Dobbiamo, al contrario, abituarci all’incertezza, al disagio di sopportare lunghe e faticose indagini per conoscere l’altro. Saremo così più stimolati ad attivare una comunicazione più orientata verso la persona piuttosto che verso la categoria culturale da essa rappresentata.
  4. Saper ascoltare attivamente. Abbiamo già evidenziato come l’Ascolto attivo sia quella risorsa che ci aiuta a sostituire l’atteggiamento conflittuale del giusto/sbagliato, io ho ragione / tu hai torto, vero/falso con uno che ci aiuta a comprendere che l’Altro potrebbe trovare giusti, sensati e ragionevoli pensieri e comportamenti che noi giudichiamo all’opposto. Saper ascoltare attivamente ci aiuta a comprendere le esperienze altrui, anche ostentando incredulità e fatica a comprendere le sue
  5. Saper comunicare emotivamente. Saper comunicare non è abilità solo razionale: occorre prevedere anche una forte componente emotiva in un armonico intreccio di riconoscimento tra la propria e l’altrui. Per questo è importante osservare le emozioni, riconoscerle, valorizzarle, definirle, contestualizzarle e intuirne il Il contatto con l’altro deve tener conto delle sue emozioni, terminale di ragioni personali e culturali. Utile per un decentramento funzionale alla conoscenza è la comprensione emotiva che prevede di decentrarsi attraverso l’empatia, cioè la capacità di integrarsi nello stato emozionale dell’interlocutore e l’exotopia, cioè la capacità di riconoscersi diversi dagli altri e di riconoscere la loro diversità per un diverso luogo di nascita.

Saper negoziare i significati. Questa disponibilità ad esporsi e la coscienza della propria relatività possono facilitare la transitività cognitiva, stato che favorisce una sorta di permeabilità relazionale che aiuta ad accogliere l’altro e considerare il senso delle sue proposte e la sua accettabilità nel nostro sistema cognitivo.

Daniele Gallo
Direttore Didattico UniUma

Articolo pubblicato su ” Il Foglio dell’Umanitaria” numero 1 del 2024 – Conflitti. La complessità del reale