Gioia e vergogna: sono questi i
sentimenti che si alternano nel mio cuore in questa incerta mattina di maggio.
Gioia che non si è ancora affievolita, tanto profonda era la sua intensità, per
la liberazione di Silvia Romano e vergogna per l’abominevole campagna social che sta infangando la sua nobile
anima. Anziché esultare ed essere felici per una vita che rinasce e rifiorisce
tra noi con tutto il suo energico entusiasmo, questa gentaglia si permette di
criticare, insultare, minacciare. A voi, gentaglia, mi rivolgo: com'è possibile
che non vi rallegriate per il ritorno del suo smagliante sorriso, nonostante
tutto ciò che ha subito e che voi nemmeno lontanamente potete immaginare, e che
non vi sentiate rassicurati dal fatto che potremo ancora contare sulla sua
solare forza, sul suo altruismo, sulla sua sensibilità.
Voi dovete, al contrario, prendervela ignobilmente e strumentalmente con un
velo, un abito, una fede: non avete capito proprio nulla. Questo è solo il
momento di gioire, come ci insegna l’Ecclesiaste, e non può esserci
spazio per niente altro. Perché non c'è niente altro quando siamo di fronte a un'anima
che riprende il suo posto nel Creato: chi salva una vita umana salva il mondo
intero, è scritto nel Talmud.
E ora rispetto e silenzio: questo dobbiamo tutti noi a Silvia. Un deferente
rispetto come quello che si deve alle cose sacre, lontane dalla polvere umana,
e silenzio, inteso nell'accezione più alta della sua nobile e sicura forza
espressiva che certamente non può piacere a voi, gentaglia senza cuore,
innamorata invece della parola urlante e pervertita, lontana dalla verità,
nascosta vigliaccamente dall'anonimato digitale.
Inginocchiatevi davanti a Silvia, come proponeva una vedova di mafia agli
assassini di suo marito. Inginocchiatevi. Vergognatevi. E tacete.
Daniele Gallo
Docente di Lingua e letteratura italiana
e Direttore didattico dell’Istituto ad ordinamento universitario