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UNIUMA – S.S.M.L. ad ordinamento universitario “P.M. Loria”

di Bruno Milone

Il giudizio circa il trionfo della democrazia su tutto il pianeta, che alla fine del secolo scorso era moneta corrente non solo fra i giornalisti, ma anche tra molti politologi autorevoli, si è rivelato un clamoroso abbaglio. Oggi, dopo le recenti esperienze del Venezuela, dell’Ungheria di Orban e della Russia dell’era di Putin, c’è maggiore consapevolezza che elezioni in qualche misura regolari non costituiscono un parametro adeguato per valutare lo status democratico di un paese. Non solo, i progressi verso un’economia di mercato e verso un maggiore dinamismo della società civile non producono necessariamente istituzioni più aperte. Come dimostra il caso della Cina, appena i cittadini chiedono di incidere maggiormente nelle decisioni politiche, ritorna il vecchio autoritarismo dal partito comunista, che censura e reprime ogni dissenso, senza però mettere in discussione lo sviluppo dell’economia. Se poi valutassimo lo stato delle istituzioni dei paesi anche di più antica e consolidata tradizione democratica, riscontreremmo numerose carenze che ci farebbero guardare con meno ottimismo ai progressi del “governo del popolo”. In Europa e negli Stati Uniti, la crisi di fiducia e credibilità delle istituzioni produce una sempre più scarsa affluenza alle urne durante le competizioni elettorali. La concentrazione di risorse politiche, culturali, di informazione ed economiche in pochi gruppi privilegiati porta gli esclusi e i più svantaggiati alla conclusione di non poter incidere sui processi decisionali, o che il loro voto possa contare effettivamente, da qui un calo della partecipazione, e atteggiamenti di disaffezione e di protesta, che non solo contestano i politici, ma la stessa democrazia.

Al contrario, una democrazia vitale si dovrebbe basare su soggetti politici attivi e non dovrebbe bastare neppure la sola espressione del voto. Nelle democrazie moderne, quelle che si sono affermate e consolidate nel secondo dopoguerra, il corpo elettorale non è discriminato per “sesso, razza, religione, convinzioni politiche o condizione sociale”, come nei regimi liberali o democratici del passato, ma la sovranità popolare non si esercita direttamente. La vita politica contemporanea si svolge in grandi stati: la dimensione, e la complessità dei problemi esigono una cura particolare e continua all’insieme delle questioni sul tappeto, per questo vengono selezionati dei politici in qualche modo di professione. Attraverso le elezioni, il popolo sceglie i suoi rappresentanti. Il potere passa così di fatto nelle mani dei politici professionisti che, però, non dovrebbero governare per se stessi, ma per il popolo. La società civile attraverso associazioni, gruppi di pressione, anche gruppi economici deve vigilare per un corretto uso del potere e per richiamare l’attenzione e condizionare le decisioni dei politici, da qui nasce la necessità della partecipazione.

Sul piano della teoria sono riconosciuti come democratici i regimi che garantiscono la partecipazione politica della popolazione adulta, maschile e femminile, e la possibilità di dissenso, opposizione e competizione tra partiti. Ma perché ciò avvenga sul piano della realtà sono necessari molteplici presupposti di non facile attuazione. Devono essere riconosciuti: a) il suffragio universale, maschile e femminile; b) elezioni libere, competitive, ricorrente, corrette; c) più di un partito; d) diverse e alternative fonti di informazione; e) un insieme di valori comuni che permetta di accettare compromessi circa la risoluzione pacifica dei conflitti fra i cittadini, e fra questi e le istituzioni; f) un livello alto di alfabetizzazione; g) l’assenza di disuguaglianze economiche estreme.

Se guardiamo a questo insieme di parametri, capiamo come la Democrazia sia un sistema complesso e fragile: quelli democratici sono regimi continuamente in fieri, attraversati da crisi periodiche che sottolineano la difficoltà di mantenere in equilibrio le diverse componenti. Infatti, se noi guardiamo i diversi paesi democratici, essi non sono omologabili ad un unico modello. In conclusione, quella attuale non è l’unica e probabilmente non sarà l’ultima delle crisi che la democrazia dovrà affrontare. Nello stesso tempo bisogna essere consapevoli che le democrazie possono regredire o addirittura scomparire se non ci sono forze politiche e cittadini che si impegnano nella loro difesa.